Mi dicono che Céline TANGUY scrive camminando. Eppure rinnova la tradizione: se la modalità è antica, la produzione è molto originale. Non ha nulla a che vedere con le riflessioni razionali di Socrate, né con il bucolismo compiacentemente introverso di Rousseau. Qui tutto è chiuso e concentrico: un'isola e la sua comunità paesana, isolata, fuori dal tempo; una casa moribonda; la coscienza dell'antieroe minata tanto dai consueti supporti terapeutici quanto dalla sofferenza dei ricordi che tali supporti dovrebbero combattere. La ragione lotta, ma vacilla perché i cerchi progressivi tracciati dall'orrore l'abbattono gradualmente. Il maleficio è nelle menti. Céline TANGUY tesse sapientemente la trama di una colpa negata, generata dall'inammissibile azione iniziale di un bambino geloso e quella, varia e diversificata, della cattiva sorte a cui si sottomette un gruppo di isolani malevoli per farne, alla fin fine, un'arma. Non tutto viene spiegato, ma poco importa: il risultato è terrificante. La vendetta si rinnova da sola e lo spirito va alla deriva nelle acque verdi scuro della follia.